DElt@ - intervista (novembre 2010)

(Roma) Sono passati tre anni dall´ultima mostra di Valeria Cadenartori, a Bologna: erano le "dismissioni": mastodontici altiforni, grandi silos e complessi intrecci di strutture metalliche e travature in ferro e cemento, sono i protagonisti dei lavori esposti. Quest´anno Valeria torna al Gabbiano, galleria "storica" di Roma, in cui si è fatta conoscere agli inizi della propria ricerca pittorica. E torna su quei soggetti silenti, ieratici, ma con tutt´altro vigore cromatico e con l´aggiunta della sovrapposizione. A sottolineare questa ricerca un proiettore, in un angolo della sala, "racconta" -attraverso diapositive in dissolvenza- il lavoro di trasparenza che è possibile riconoscere nelle opere.

Le tue ultime opere traggono ispirazione dall´ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE: fantasmi disabitati, segno di un´era passata. Il cemento prende colore testimoniando quasi un "errore storico", un incidente. Relitti di attività umane dismesse. Come si sceglie un soggetto? perché vale la pena rappresentarlo?

La scelta del soggetto da dipingere è molto istintiva. Si dipinge tutto ciò che ha lasciato nella mente, negli occhi e nei sensi, un segno forte. Dipingere è un atto di appropriazione di quel momento, di quell'oggetto, di quella sensazione.
Sono andata all'ex-Italsider di Bagnoli quasi per caso. Un mio amico napoletano mi ha invitata a entrare. Così ho visto l'altoforno abbandonato.
Spoglio ormai dal lavoro umano, dal rumore, dall'attività frenetica dell'industria, è rimasto solo una struttura, uno scheletro complicato, che si erge, alto, nel cielo. Adesso non è più un mezzo, ma una scultura fine a se stessa. E' questo che mi ha colpita. Oltre la bellezza delle sue forme.
Una bellezza intrinseca. Come quella di un albero, anch'essa funzionale al "lavoro" che deve svolgere.
Non avrei avuto la stessa fascinazione, credo, se fossi andata durante l'attività dello stabilimento. Quella macchina inquinava, emetteva veleni, mettendo in serio pericolo i lavoratori e l'aria circostante. Un male necessario, nella storia industriale dell'uomo. Ancora non siamo giunti a "produrre" senza inquinare, senza creare scorie, senza sfruttare il lavoro umano in modo iniquo e pesante.
E' una grande scommessa, che si dovrà realizzare al più presto.
Non abbiamo più molto tempo.

Oggi che gli intellettuali sembrano non avere più il peso politico che avevano nel secolo scorso (penso agli anni ´70 della Morante, Pasolini, Moravia), che la poesia non ha più una dignità pubblicamente riconosciuta, quale ruolo resta a una artista, ad una intellettuale? Ha un ruolo? Esiste una responsabilità sociale di cui l´artista, forse anche perché donna, possa o debba farsi carico?

Io credo che tutti abbiano una responsabilità sociale.
Intellettuali, artisti, politici, economisti, impiegati, operai, uomini o donne che siano.
Chi ha più visibilità ha una responsabilità sociale maggiore, io penso, perché ha la possibilità di raggiungere più persone rispetto ad altri.
Oggi una figura di intellettuale responsabile, eticamente impegnato, e finalmente attivo la vedo in Roberto Saviano. Ci sono anche giovani registi, registe, scrittori, scrittrici. Non mi sembra che ci troviamo in un periodo di "tabula rasa", nonostante tutte le difficoltà.
Mi stupisce però il silenzio sulla guerra. Siamo in guerra quasi da 10 anni.
Una guerra assurda, criminale e controproducente. Non serve a sconfiggere il "fondamentalismo", piuttosto lo alimenta esponenzialmente. E' un orrore, oltre che un errore. E non si ricostruisce nulla di quello che si va bombardando. Ospedali, scuole, infrastrutture. Nulla. Si bombarda e basta. E qui in Italia hanno il coraggio di chiamarla "missione di pace". Ecco, toccherebbe agli intellettuali, agli uomini e donne di cultura, smontare questa immensa ipocrisia. Ma non li vedo, non li sento.
Noi pittori e pittrici dovremmo dipingere altre mille "Guernica", dunque.
Da parte mia credo di esprimere la mia rabbia e il mio dolore con i colori. Che sono diventati inevitabilmente più aspri, più duri.
Infine, penso che una donna debba andare dritta per la sua strada, qualsiasi lavoro abbia intrapreso, più forte e determinata di altri, perché, nonostante tutto, pregiudizi e discriminazioni continuano ad esistere, sotto varie forme.
E per ognuna che riesce a realizzarsi, è un colpo di scalpello in più contro questo insopportabile pregiudizio.

Il lavoro sull´ombra, sulla trasparenza, dominante nelle forme geometriche di questa tua ultima Mostra Personale, proiettano le immagini in una tridimensionalità che sembra plasmare uno spazio proprio, dentro la realtà. Puoi raccontarci il rapporto che hanno le tue immagini con l´esterno, con quello che le circonda o che le ha generate?

Come ti dicevo, io parto dalla sensazione che mi provoca ciò che vedo.
La realtà è una fonte inesauribile di stimoli, emozioni, riflessioni.
Ognuno di noi la metabolizza in modo proprio. I pittori, gli scrittori, i poeti, i registi, i musicisti, hanno il vantaggio di riuscire a esprimere, a volte meglio di altri, il loro "occhio" sul mondo. Cezanne diceva che il quadro, la tela (o la pagina scritta, il film, ecc., aggiungo) è l'incontro tra il soggetto e l'oggetto. Tra il mondo interiore e il mondo esteriore.
Da questa interfaccia, da questo confine fluido, scaturisce qualcosa di nuovo, che non è né solo interiore, o soggettivo, né solo esteriore, o oggettivo.
Lo spunto iniziale in questo caso, per me, è stata la struttura industriale silenziosa, che poi si è trasformata in qualcos'altro.
E forse, come dici tu, si è creato uno spazio a sé, in cui sono confluite memoria, complessità, trasparenze, gioco e altro ancora di cui non posso essere consapevole fino in fondo.
Non mi è difficile indovinare, anche, quanto abbia influito l'essere nata in una famiglia dove l'architettura è sempre stata il centro delle riflessioni, delle discussioni, la lente più usata attraverso cui leggere la vita stessa.

Francesca Barzini - intervista, novembre 2010

Ci incontriamo alla galleria 'Il Gabbiano' e capisco subito che sarà facile entrare in comunicazione con Valeria. E' arrivata a Roma da Berlino con i suoi quadri. Un altro giovane talento che ci siamo fatti scappare. Scegliere l'altrove è ormai quasi un manifesto politico. Come una dichiarazione di non appartenenza. Valeria Cademartori senza inutili convenevoli mi vuole accompagnare attraverso il percorso artistico che l'ha portata a 'Entropia'.

Valeria: " Questi quadri sono uno sviluppo del lavoro che ho fatto qualche anno fa, a Napoli."

Francesca: "Napoli?"

V.: "Si, un mio amico regista mi aveva chiesto se volevo dare la mia testimonianza di artista a Bagnoli, dove aveva girato un bel cortometraggio, ispirato al libro 'La dismissione' di Ermanno Rea. Alla vista dello stabilimento ormai deserto dell'Italsider sono rimasta colpita dalla complessa struttura dell'ultimo impianto rimasto, dalle sue forme, nel loro dettaglio. Ci ho lavorato a periodi, nell'arco di due anni. Ho sentito che era una sfida e l'ho accettata. Non era diverso da quando disegnavo gli intrecci dei rami degli ulivi nel Salento." Nei quadri della precedente mostra si sente tutto il drammatico e irreale silenzio degli stabilimenti vuoti, un tempo pieni di gente, di urla, di frastuoni. Il silenzio di adesso e' figlio degli errori. La scommessa dell'industria pesante al sud e' stato un innesto non riuscito e ha distrutto un luogo che era magico. Un trapianto che dopo decenni ha innescato la crisi di rigetto.

F.: " Hai usato la parola sfida…Cosa, chi vuoi sfidare? "

V.: "Innanzi tutto me stessa, per vedere se riesco a rapportarmi e a dialogare con il caos. La memoria è un fenomeno complesso, dal momento che elabora, modifica e stratifica i ricordi."

F.: "Dall'acciaieria a questi quadri come ci sei arrivata?"

V.: "Sono andata a vivere a Berlino, ma quelle immagini sono venute con me. Con la mente continuavo a lavorarci. Avevo realizzato inoltre un audiovideo con un mio amico, in cui quei primi quadri si componevano e si sovrapponevano l'uno con l'altro, seguendo il ritmo di una musica metallica. E ho deciso di dargli una forma pittorica. Il risultato è una stratificazione di trasparenze - un tema che ho già inseguito in passato –, un'immagine diversa, penso, sia rispetto a quelle originarie 'dal vero', che a quelle elaborate nel video. M'interessava sperimentare un rapporto tra il linguaggio 'storico' della pittura e quello digitale."

F.: "Perché ENTROPIA?"

V.: "Entropia in fisica è una grandezza. Viene intesa come misura del caos di un sistema fisico, più in generale dell'universo. Gli stati entropici sono rappresentati dalla lettera S , per questo ho intitolato i quadri S 1 , S 2, eccetera. Ma per me rappresenta piuttosto uno sguardo interiore. L'entropia è il passaggio da uno stato ordinato a uno disordinato, in questi quadri la composizione diviene complessa. Quasi fosse un atto di 'pittura nella pittura', se così si può dire. Sono attratta dalla complessità, forse perché nella mente sono presenti immagini sovrapposte, non sempre nitide, risultato della loro sedimentazione nel tempo." Si avverte dunque un passaggio artistico figlio di una riflessione sull'archeologia industriale che ha portato Valeria verso un'astrazione, seppur ancorata al reale.

F. : " ENTROPIA fa parte del tuo percorso di artista?"

V.: " Le geometrie astratte mi hanno sempre affascinato. L'elemento più importante per me in un quadro è la composizione, l' equilibrio, o anche lo sbilanciamento, di luci, ombre, pieni, vuoti, linee di forza e volumi, che nel loro insieme devono 'funzionare', ossia raggiungere una loro relazione armonica, quale che sia. Questo anche quando ritraggo volti, esseri umani, stati d'animo."

F.: "Quando prepari una mostra ti dai un tema sempre nuovo?"

V.: "Mi piace sorprendermi, ripetermi mi annoia . Nell'arte si tende a ripercorrere la stessa strada quando ci si accorge che funziona. A volte e' il mercato stesso che condiziona gli artisti a ripetersi all'infinito. La libertà è anche poter inseguire quello che ti attrae, in ogni momento. Credo però che si possa ritrovare sempre un filo che lega , nel tempo, sia il mio linguaggio che il mio percorso pittorico."

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Francesca Barzini - interview, november 2010

We have arranged to meet at the 'Gabbiano' gallery and I immediately sense that communicating with Valeria will be easy. She has just arrived in Rome from Berlin with her paintings. Whoops, there goes another young talent we have allowed to flee. Nowadays, choosing 'somewhere else' has almost become a political statement; a way of declaring one's non-belonging. Valeria Cademartori wants to take me on her artistic journey that has lead to 'Entropia', straightaway.

Valeria: "These paintings are a development of the work I was doing a few years back, in Naples".

Francesca: "Naples?"

V.: "A friend, who is a film director, had asked me if I wanted to give my artist's impression of Bagnoli, where he had shot a wonderful short film inspired by Ermanno Rea's book 'La dismissione' ('The Divestment'). When I visited the Italsider factory, which was by then empty, I was struck by the complex structure of the last remaining plant and by the details of its single parts. I worked on this theme, on and off, for over two years. I felt it was a challenge for me and I accepted it. It wasn't very different from when I was drawing the twisty, knotted branches of the olive trees in the Salento (an area of the Puglia region )." In the paintings of Valeria's previous exhibition, one perceives all the drama and eerie silence of the empty factories, once filled with the roar of machines and the cries of people. The silence of today is a result of one mistake too many. The gamble taken on heavy metal industry in Southern Italy didn't pay off and destroyed what was once a magical place. After decades the implant has triggered off a rejection crisis.

F.: "You used the word challenge... What or whom do you want to challenge?"

V.: "First and foremost I'd like to challenge myself; see if I can relate to chaos and engage with it. Memory is a complex phenomenon, since it elaborates, modifies and stratifies."

F.: How did the pipes of the steelworks lead you to these paintings?

V: "I went to live in Berlin, but those images stayed with me. Mentally, I was still continuing to work on them. I had created an audio-video with a friend, in which the earlier paintings combined and overlapped to the beat of metallic music, and I decided to give them a pictorial form. The result is the overlapping of transparencies - a theme I have always pursued - a different image however, compared to the earlier ones, those 'from life', and the video animated ones. I was interested in establishing a dialogue between the 'historical' language of painting and the more recent digital one."

F.: "Why ENTROPIA?"

V.: "In physics Entropy is a measure. It is intended as the measurement of the chaos existing in a physical system, more generally in the universe. Entropic states are represented by the letter S, and this is why I have entitled the paintings S 1, S 2, and so on. However, to me Entropy suggests casting an inward glance. Entropy is the gradual transition from an ordinary to a disorderly state; in these paintings the composition gets more complicated, as if it were a journey of 'painting within the painting', if one can say that. I am attracted by complexities, since the mind is made up of overlapped images, ones which are not always clear, because of their sedimentation in time." Therefore, one perceives an artistic process, born of Valeria's reflection on industrial archaeology, which has driven her towards a type of abstraction still, however, linked to the real.

F.:" Is ENTROPIA part of your artistic development?"

V.: "I have always been fascinated by geometric abstractions. I believe that the most important elements in a painting are the composition, the balance and imbalance of light, shadow, full and empty spaces, volumes and lines of force, all of which need to work together to reach a harmonic connection, whatever that is. This also applies when I depict faces, moods or human beings."

F.: Do you always work on a new theme when preparing for an exhibition?"

V.: "I like to surprise myself, repetition bores me. In art people tend to go down the same path over and over again when they realise what works. Sometimes, it is the market itself that conditions artists to repeat themselves, endlessly. Freedom also means attempting to pursue what attracts you, at all times. However, I find that over time, one can always discover a thread that is common to both my language and my artistic journey."

Marco Di Capua, gennaio 2007

tratto da "Chiedi alla ruggine"

"Scomparso 'lui', il laminatoio, non resterà più niente, o quasi. Fabbrica kaputt. Resteranno le rovine dell'altoforno 4 che in qualche punto (se hai il coraggio di ascenderlo) richiama alla mente il cratere inerte del Vesuvio… ". (Ermanno Rea, La dismissione).

La prima cosa che vedi è che non vedi più niente e nessuno, laggiù. Una gran spianata, come dopo un bombardamento, e qualche capannone e qualche ciminiera, più l'altoforno, il sopravvissuto, il risparmiato. Il più duro a morire, a dirla tutta. E che un tempo fosse stato un forno manco lo sapevo ma che sia alto, un vero gigante di ferro accidenti, questo è chiaro. Poi ti sporgi e guardi un imprevedibile panorama, un paesaggio apocalittico e poetico, un'insensatezza pura, dove solo fino a poco tempo fa c'era l'Ilva di Bagnoli. La fabbrica. L'acciaieria. Ci lavorava un sacco di gente, tra fuoco e fiamme e botti e rumori da diventare sordi sotto un cielo incendiato. Ci moriva anche, un sacco di gente. (...)

E' tutto raccontato nel bellissimo libro di Ermanno Rea, La dismissione. La fabbrica se la comprarono e portarono via pezzo a pezzo, nella stiva di una nave, i cinesi. (...)

Un sacco di artisti giovani, oggi, amerebbero follemente un paesaggio simile. Una vera manna per fotografi e pittori. Dunque, domanda: quale il pittore? Risposta: Valeria Cademartori. Lei c'era già andata là, e io non lo sapevo. Aveva puntato all'essenziale, come gli alpinisti che arrivati sotto una vasta catena montuosa piena zeppa di picchi si fissano e dicono: la cima che voglio è una: quella. Il K2 di Valeria (il Vesuvio di Rea) è l'altoforno. L' ha fatto suo, l'ha conquistato, anche con quel senso di ammirazione, di devozione che nasce da una conquista così. Lo ha anche scalato. Sul serio. Senza casco, siamo a Napoli, nessuno gliel' ha dato.

Il risultato di questa operazione è formidabile: tutta una serie di quadri che azionano lo zoom su un mostro fuori scala, un mastodontico ossario da paleontologia industriale, e ne ricavano potentissimi frammenti, dinamicissimi dettagli. L'occhio di Valeria vi gira intorno come cercando di svelarne, di estorcerne un segreto. "Mi piace Tina Modotti – sostiene - che vuole scoprire nell'oggetto ravvicinato, qualcos'altro". Potresti anche dire che ogni inquadratura ha la sua personalità, confessa il proprio stato d'animo, il suo umore. Qualcosa di simile Valeria lo tenta anche con le figure, i ritratti.

Ma è sotto la luce napoletana che si incrociano, come le spade prima di un duello, il rigore e la ruggine (quanti colori ha per Valeria la ruggine?). L'altoforno, ormai liberato da ogni scopo, non è più che un maestoso aggregato di forze, di spinte e controspinte, di geometrie a cielo aperto e diagonali, e nei quadri cambia, anche quando la parte rappresentata è sempre la stessa: qua si assesta, come dopo un ultimo sbuffo, un cigolio di ferraglia nella polvere, là scricchiola tendendosi nell'aria: è il suo estremo slancio, come divaricando in un saluto le braccia… Pathos abbastanza epico per strutture profondamente arcaiche. Valeria è attenta a che ogni parte e segmento, cercando la propria interna perfezione, funzioni. E' paradossale: questo megacongegno ormai non funziona più, non serve più niente e nessuno. "Non fa nulla. Finalmente si prende il sole", conclude lei.

Me ne sono accorto. Insomma mi sembra evidente come il paesaggio urbano, per gli artisti di primo Duemila, sia un territorio di spoglie. Il desertico ha preso il posto delle folle che premevano ai bordi dei quadri di un secolo fa. Nessuna città che sale. Spoglie. Pezzi e ricordi e sentinelle solitarie, a guardia di ciò che confusamente pensiamo sia la città, oggi articolano il vuoto. L'altoforno di Valeria è l'idolo, la fortificazione che protegge il nulla e la memoria. Mi sa che ci devo tornare su 'sto Parco della Rimembranza.

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Emilio Garroni

presenta Valeria Cademartori - luglio 2005

(...) Guardiamo al modo di affrontare la realtà percepibile proprio dell'artista, di ogni artista, figurativo o astratto che sia. In Valeria Cademartori questo modo (...) si attua mediante una sorta di ispezione e rivelazione dell'immagine percettiva nei suoi aspetti centrali e tutt'altro che ovvi. Ciò, si badi, non tanto per ricavarne figure realistiche, anche se questo può accadere in certi casi come effetto secondario, ma per comprendere operativamente il funzionamento della percezione nel suo strutturarsi dinamico, nella sua ambiguità, nella parziale indeterminatezza delle immagini singole, nonchè del loro contesto o sfondo. E soprattutto per coglierlo nel suo dilatarsi, in virtù di quella indeterminatezza, a un'operazione che metta in evidenza ciò che nella comune percezione si realizza immancabilmente, ma passa di solito inosservato: la possibilità di un'esperienza determinata, la cui condizione è l'idea di un'esperienza in genere, non determinata e a rigore non concettualizzabile.

Penso infatti che l'arte ci faccia non tanto esperire cose inaudite ( e quali potrebbero essere se non vecchi ciarpami spiritualistici o estetizzanti?), quanto rendere conto, proprio per questo provocando intense emozioni, di ciò che già appartiene alla comune esperienza e che questa non avverte.

E' notevole come in questi quadri ( vd. mostre 2000, 2003, n.d.r.) s'imponga il funzionamento stesso dell'immagine percettiva, il suo costituirsi per sguardi non mai fissi e sempre fulminei, continuamente svarianti sull'oggetto o su un suo punto di attenzione, creando con ciò qualcosa di continuamente in movimento, che dà tuttavia un'impressione di stabilità. Ma in primo piano viene anche la sua ambiguità, l'indeterminatezza interna della sua forma, il suo non-isolamento, tale che ogni cosa è sempre percepita rispetto a uno sfondo, al di là della forma dell'oggetto, via via meno determinato e infine addirittura indeterminato.

Guardateli questi quadri: c'è sempre una configurazione complessiva, ma tutt'altro che tecnicamente precisa, anzi fortemente irregolare e ricca di indeterminatezze, fluttuante, dilatantesi o addirittura svaporante nell'intorno, dipinta a macchie tali da formare una sorta di magma. Spesso, per questa ragione, sono difficilmente leggibili alcuni particolari, che un realista non trascurerebbe. In altre opere (...) troviamo anche tagli e sovrapposizioni non realistici di pezzi di figura. Non però alla maniera cubista. Infatti non è tanto il "tempo" come tale che interessa, quanto piuttosto la "temporalità" già presente nel guardare spazialmente, quel barbagliare dell'oggetto organizzato da una percezione che si esercita su un numero altissimo di sguardi puntuali e fuggevoli.

Ma c'è anche, insieme alla variabilità, una magnetica fissità interna, che ci rimanda a qualcosa che eccede l'intero movimento percettivo, la sua flagranza: precisamente alla totalità o a una sorta d'immagine del mondo.

Io mi auguro che la pittura percorra, in qualsiasi forma possibile, una strada analoga, per neutralizzare l'ovvio e il banale. E non solo nel campo dell'arte, ma dappertutto. Io credo che Valeria Cademartori stia seguendola fin dall'inizio, ne sia teoricamente consapevole o no, questo poco importa. Lo sa in ogni caso nel profondo della sua passione pittorica. Non è un merito da poco.

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Alessandro Riva

tratto da 'Le due anime di Valeria Cademartori' - marzo 2003

Valeria Cademartori s'inserisce in quel filone, molto attivo in Italia da circa un decennio, di riflessione sul paesaggio urbano contemporaneo che ha visto crescere, tra Roma e Milano, una vera e propria scuola di pittori attenti alle forme e ai mutamenti della contemporaneità. Pittori rispettosi anche, senza timidezze nè complessi d'inferiorità, della grande tradizione pittorica italiana e di quel lavoro di decostruzione dei canoni della modernità che ha segnato le alterne vicende dell'evoluzione delle avanguardie storiche della prima metà del Novecento. Valeria Cademartori Ha iniziato il suo cammino artistico a Roma, agli inizi degli anni Novanta,(...) ha cominciato a girare per la sua città cogliendone gli scorci meno classici e scontati, ma semmai quelli che coglievano un senso di drammatica e istintiva spiritualità del quotidiano: i teloni delle impalcature di un palazzo sbattuti dal vento, oppure gli angoli di anonimi palazzi di periferia o un taglio particolarmente suggestivo di sopraelevata. Di qui Valeria ha continuato ad approfondire la sua ricerca, andando, come si direbbe in gergo cinematografico, a "chiudere" sempre di piu' il suo ideale obiettivo fotografico: dalle vedute di palazzi e strade anonime è passata a guardare e a descrivere i volti della gente che frequenta quei luoghi, cercando, forse, nelle loro espressioni pensierose e sospese, un senso, un anelito di eternità, in mezzo a tutto il folle caos cittadino. Oggi Cademartori sembra essere giunta a un punto di svolta, di piena maturità stilistica e inventiva, nel suo lavoro. La sua ricerca, sempre condotta sul filo di una figurazione che strizzava vagamente l'occhio all'informale nel suo affondare le mani nel profondo della materia e del colore, sembra essersi improvvisamente stabilizzata su un crinale di perfetta e assoluta ambiguità, o equilibrio, dove i volti dei passanti, ritratti questa volta a distanza fortemente ravvicinata (al punto da perderne i contorni e la funzione stessa del colore e della forma), assumono curiosamente i connotati di vaghi fantasmi del nostro quotidiano, presenze (le stesse che s'incontrano per strada sui tram o allo stadio) contemporaneamente astratte e reali, perfette e ieratiche icone del nostro spaesamento di fronte al quotidiano. E' come se, con quest'ultima svolta verso un maggiore avvicinamento al soggetto, l'autrice scindesse la perenne ambiguità che la voleva pittrice di figura, si, ma amante della materia, della spatola grassa e della pittura di cuore e d'anima, poco incline ai calcoli e alle belle forme della classicità. Ora i volti mantengono comunque le loro caratteristiche di aderenza al reale, ma nel contempo è come se s'immergessero o s'imbevessero felicemente e completamente di quell'amore per la materia e il colore che fin dall'inizio ha contraddistinto il lavoro dell'artista. E' come se la materia, alla fine, si riprendesse di forza ciò che fin dall'inizio, e a buon diritto, le spettava; la supremazia sulla forma e la sua autonomia rispetto a una realtà sempre più oppressiva, sempre più presente nelle sue mille manifestazioni di riproduzione fotografica e video, e, proprio per questo, infondo, sempre più rarefatta e inafferrabile.

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Alessandro Riva

taken from 'Two souls of Valeria Cademartori' - march 2003

Valeria Cademartori forms part of the trend - very active in Italy in the past decade or so - of reflection on the contemporary urban landscape, which has witnessed the formation, between Rome and Milan, of a real and proper school of artists attentive to the forms and to changes in the contemporary scene. This artists are also respectful - without any timidity or inferiority complexes - of the great Italian pictorial tradition and of that work of deconstruction of the canons of modernity which marked the alternating vicissitudes of the evolution of the Historical Avant gardes in the first half of the Nineteenth Century. Valeria Cademartori began her artistic career in Rome at the beginning of the Nineties, she started going around her town absorbing the city's less obvious and less classical view , but those that caught something of the dramatic sense and instinctive spirituality of everyday life; the wind-blown tarpaulins covering the scaffolding around a building, or the angles of anonymous building bloks in the suburbs, or a particulary striking slant on an overpass. Since then, Cademartori has continued to go deeper into her searches, more and more "shooting" (to use a term of motion picture jargon) objectives with her ideal camera lens: from views of building, roads , she has switched to gazing at and describing the faces of the people frequenting them, seeking, perhaps, in their thoughtful or suspended expressions some feeling, some breath of eternity admist all that crazy city caos. Today Cademartori seems to have reached a turning point, one of full stylistic and inventive maturity, in her work . Her search, always conducted in terms of a figuration vaguely winking its eye at the informal as she sank her hands into the depths of the material and of the color, seems to have suddenly become stabilized on a crest of perfect and absolute ambiguity, in which the faces of the passer-by couriously take on the features of vagues ghosts of our everyday world, presences - the same ones encountered in the street, in the trams or at the stadium - real and abstract at the same time, perfect, solemn icons of our bewilderment when faced by daily life. It is a though, with this latest turn-round in favour of a greater concentration and closing up on the subject, Valeria were severing that perennial ambiguity of being a painter of figures, admittedly, but a lover af material and liberal user of the palette knife, fond of painting heart and soul, and not inclined towards the calculations and the fine forms of classical painting. Now the faces are immersed or absorbed happily and completely in that love of pasta and of material and colour that from the very beginning has characterized the artist's work. It is as though the material were after all wrenching back what had from the very beginning justly belonged to it: its supremacy over form and its autonomy with respect to a reality that is ever more oppressive and ever more present in its thousands of manifestations of photographic and video reproduction, and, precisely for this, basically always more rarefied and elusive.

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Duccio Trombadori

tratto da 'Il sentimento del presente' - giugno 2000

"L'attenzione per le cose viste, per il particolare rapito al volo dalla sua camera ottica, segna la trama di un giornalismo visivo che non è soltanto cronaca e commento, ma una specie di monologo interiore sulle possibilità di esprimere con la figurazione una serie di vistose urgenze ideologiche e sentimentali. Così il dramma allusivo della pittura si risolve in un energico sentimento del presente che non si perde nel gusto di una figuratività effimera. La densità cromatica della materia è ordinata dalla composizione sottostante e sorregge in equilibrio lo scorrere di fluorescenze improvvise, le sbavature di luce attorno ai corpi e agli spazi, in una simultaneità che fa coincidere il dinamismo con la statica visiva. Perciò le sue fugaci vedute sembrano sezioni di una più ampia teoria di volti umani che guardano e si guardano nel teatro urbano ritmato dai vetri di un autobus, di un tram, o dalle fiammanti lamiere di un'autovettura."

"Le pitture di Valeria Cademartori sono fotogrammi scattati al volo e al tempo stesso sembrano il tentativo di restituire vita alla superficie esangue della immagine. L'epitelio visivo ha un fascino ambiguo perché continuamente ci rinvia ad un contesto di fatti e di parole che l'hanno preceduto e in qualche maniera pretendono di definirne il significato o quanto meno di condizionarlo."

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Duccio Trombadori

taken from 'The Feeling Of The Present' - june 2000

"Her attention the things seen, to the detail caught on the spot by her optical camera, marks the weft of a visual journalism that is not mere reporting and comment but a sort of inner monologue on the possibilities of expressing in her painting a series of garish ideological and sentimental urgencies. Thus the allusive drama of her painting ends up as an energetic feeling for the present that is not lost in the taste for an ephemeral figurativeness. The chromatic density of the material is orderded by the underlying composition and supports in equilibrium the flow of sudden fluorescences, the blurs of light around the bodies and the spaces, in a simultaneousness that makes the dynamism coincide with the static visual moment. Hence her fleeting views seem sections of a larger urban theory spelt out by the windows of a bus, of a streetcar, or by the flaming bodywork of an automobile."

"Valeria Cademartori's paintings are pictures taken without hesitation and at the same time they seem and attemp to give life back to the bloodless surface of the image. The visual epithelium has an ambiguous fascination because it constantly refers us to a context of facts and works which have preceded it and in some way they presume to define the meaning thereof or at least to condition it."

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Emilio Garroni

tratto da 'Riflessioni di un quasi inesperto' - marzo 1998

"Qui non si tratta, o almeno non si tratta più di una sciocca contrapposizione tra arte figurativa, in senso stretto e convenzionale, e avanguardia. In un momento in cui tutto sembra divenuto possibile (il che, ammesso che sia vero, non è necessariamente esaltante) e per ciò stesso impossibile, comprese tradizione e avanguardia, anche la frequentazione di quei generi ormai codificati e, per così dire, passati in giudicato, non può non acquistare un senso contestualmente nuovo ed essere, in certi casi, come in questo, segno di spregiudicatezza, più che di restaurazione, di riflessione, più che di ostinazione, di ricerca seria, più che di sterile nostalgia. Né si tratta semplicemente di tornare all'opera fatta ad arte e di lasciarsi alle spalle per sempre le sperimentazioni più spericolate. Il fatto è che, forse, le vecchie contrapposizioni, una volta significative, sono saltate definitivamente e che vale la pena di andare a vedere quali spoglie, tradizionalistiche o avanguardistiche, sono rimaste sul campo, non solo a titolo di opera di pietà, ma per farne l'inventario, esaminarle, saggiarle, riportarle alla memoria, misurarne la portata e riorientarsi, se è possibile, e non ne sono sicuro, in vista di una futura pace durevole."

"Le immagini che si compongono sulla tela, decentrate rispetto all'iconografia tradizionale, riprese da punti di vista quasi innaturali, illuminate da luci fredde, tagliate come particolari fotografici, ci presentano obliquamente solo frammenti di realtà. Servono in sostanza non a rappresentare oggetti, ma ad accerchiare il vero soggetto della natura morta, che è lo spazio vuoto incastrato tra quei frammenti. Cosicché gli oggetti stessi acquistano nello stesso tempo densità ed estraneità, come se fossero oggetti di un altro mondo, isolati, pietrificati, congelati, quasi irriconoscibili, pur nell'evidenza del riconoscimento. Non è che non li riconosciamo di fatto. Semplicemente ci mostrano il lato ignoto di cose note e stranote."

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Emilio Garroni

taken from 'Reflection Of A Quasi-Inexpert' - march 1998

"Here it is not a matter, or at least it is no longer a matter of a silly confrontation or opposition between figurative art, in a strict, conventional sense, and avant garde. At a time when everything seems to have become possible (which, admitting it to be true, is not necessarily exalting) and for that very fact impossible, including tradition and avant garde, even viewing these by now codified 'genres', which have become res judicata, so to speak, cannot fail to take on a sense that is at one and the same time both new and, in some cases, as this one, a sign of open-mindedness rather than of restoration, of reflection, rather than of obstinacy, of serious striving, rather than of sterile nostalgia. Nor is it a case merely of returning to the 'work' deliberately done and of leaving behind for good the most reckless experimentations. The fact is that, perhaps, the old oppositions, once meaningful, have definitely exploded and that it is worthwhile going to see what traditionalistic or avant gardist remains have been left in the field, not only as an act of charity, but to make an inventory of them, to examine them, to probe them, to bring them back to the memory, to measure their scope and to reorient ourselves, if that is possible, and I am not certain that it is, with a view to a lasting future peace. For example, the pictures that are composed on the canvas, off center with respect to traditional iconography, viewed from almost unnatural standpoints, bathed in cold lights, standing out as photographic details, obliquely present to us only fragments of reality."

"They serve in substance not to represent objects, but to focus on the real subject of the still life, which is the empty space hemmed in between those fragments. Thus the objects themselves at the same time taken on density and extraneousness, as though they were objects of another world, isolated, petrified, frozen, almost unrecognizable. It is not that we do not recognize ther in fact. Simply that they show us the unknown side of things known and very familiar."

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